Auditoire de Calvin

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Auditoire de Calvin nuovo organo - foto Natale GIANDOMENICO

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venerdì 26 giugno 2015

Incontro con papa Francesco I - Commiato e benedizione finale della diacona Alessandra Trotta


Commiato e benedizione finale della diacona Alessandra Trotta
presidente dell'Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia
(O.P.C.E.M.I.)

Caro papa Francesco, cari fratelli e sorelle e cari amici ed amiche che avete voluto condividere oggi con la chiesa valdese di Torino la gioia di questo incontro, svoltosi nella semplicità e sincerità che è sempre da attendersi fra fratelli e sorelle in Cristo, è giunto il momento di salutarci. Non prima di avere ringraziato il Signore per questa preziosa occasione di condivisione fraterna, nella quale si è avvertita la freschezza del soffio dello Spirito ed il calore del sorriso di Dio che si posa sui suoi figli e figlie, tutte le volte che sanno fare passi concreti nel cammino di quell'amore vissuto che solo rende credibile la loro testimonianza evangelica in questo mondo sofferente e tormentato. Ricaviamo forza, fiducia, coraggio dalle benedizioni di Dio che ci giungono dall'incontro di oggi; come dagli incontri che lo hanno preceduto e reso possibile, in una crescita del movimento ecumenico che ha rappresentato e continua a rappresentare per tutte le Chiese cristiane un fondamentale cammino di conversione; e dagli incontri che lo seguiranno nella pratica quotidiana di rapporti di amicizia, di confronto e collaborazione, di sostegno ed incoraggiamento reciproco nei contesti locali, quelli più ravvicinati, che costituiscono la carne ed il sangue di un ecumenismo autentico. 

A papa Francesco rivolgiamo le parole finali di benedizione di un bell'inno che nelle nostre chiese spesso cantiamo alla fine di una riunione che ha unito fratelli e sorelle provenienti da luoghi diversi, a volte molto lontani, e che dunque si incontrano solo poche volte all'anno o in occasioni speciali: caro fratello, finché ci rivedrem, ti sostenga il Signore nel tuo cammin. Con papa Francesco, e con tutti i fratelli e le sorelle nel mondo che compongono il corpo di Cristo, siamo sostenuti, d'altra parte, dalla promessa di Dio annunciata dal profeta Isaia (40, 29-31): Il Signore dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano. Cari fratelli e care sorelle, andiamo dunque con gioia, per portare la gioia che vince la tristezza del mondo; non la gioia effimera del possesso di ricchezze materiali; ma la gioia intima e profonda del sentirsi gratuitamente accolti dal Signore, così come siamo, in un vincolo d’amore che esige di essere partecipato e condiviso, spingendoci ad aprirci sempre all'accoglienza dell'altro e dell'altra, a cominciare da quelli che non ci aspettiamo, che ci scomodano. Andiamo con speranza, per portare speranza; la speranza alimentata dall'ascolto di una Parola di vita, che ci insegna ad osare, sempre, nelle occasioni private come in quelle pubbliche, le parole che rompono i silenzi delle solitudini, dell'emarginazione e della rassegnazione; che sfidano le chiusure degli egoismi, delle paure, dei risentimenti. 

Andiamo ed andiamo INSIEME, perché c'è molto da fare. Riceviamo per noi oggi la preghiera di benedizione dell'apostolo Paolo alla chiesa di Colosse (Col. 3, 15): La pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti”. AMEN 

Che la strada venga incontro a te, e che il vento soffi dietro a te, possa il sole splender su di te, e la pioggia cadere su di te, finché ci rivedrem ti sostenga il Signore nel tuo cammin
(tradizione irlandese – testo italiano: L. M. Negro)


fonte: NEV - NOTIZIE EVANGELICHE
protestantesimo - ecumenismo - religioni
Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
Allegato al numero 26 del 24 giugno 2015
tratto dal DOSSIER
Visita di Papa Francesco alla Chiesa Valdese nel Tempio di Torino,
22 giugno 2015 


martedì 23 giugno 2015

L'opinione di Grado Giovanni Merlo




     Eugenio BERNARDINI, moderatore della Tavola Valdese                Jorge Mario BERGOGLIO papa Francesco I



di Alberto Corsani redattore del settimanale Riforma


Un incontro importante, di cui scopriremo in futuro tutti i frutti

L’opinione di Grado G. Merlo,
medievista e studioso del movimento valdese

«Per alcuni aspetti, questo incontro potrà essere valutato solo dopo che sarà passato un po’ di tempo, proprio per la sua importanza e le sue implicazioni anche all’interno dello stesso ambito cattolico: ma certamente la sua portata è notevole»: chi parla è Grado G. Merlo, professore di Storia medievale e Storia del cristianesimo medievale nelle Università di Torino e Milano e titolare di corsi alla Scuola Normale di Pisa. Uno dei più importanti medievisti italiani, è autore di articoli, saggi e libri dedicati ai valdesi, alcuni dei quali pubblicati dall’editrice Claudiana (da «Valdesi e valdismi medievali», 1984 a «Valdo. L’eretico di Lione», 2010).
Che cosa colpisce, dunque, in questo incontro fra i mondi di Valdo e di Francesco, uno studioso che valdese non è, ma che da molti anni è in dialogo (anche per la sua origine pinerolese) con la Chiesa e la cultura valdesi, come attesta anche la sua partecipazione a molti convegni di studio?
«L’incontro mi ha commosso – dice a caldo Merlo –: innanzitutto ho apprezzato il discorso del moderatore Bernardini che non è stato né “diplomatico” o di circostanza né aggressivo, ma ha messo sul tappeto quelli che restano tuttora come elementi di divisione. Certo sul piano sociale i cristiani operano con molta sintonia (il riferimento è soprattutto all’azione per profughi e migranti), ma la necessità di superare da parte cattolica la dizione “comunità ecclesiali” per le chiese protestanti è stata posta in tutta la sua evidenza. Quanto alle parole del papa, non può non colpire la richiesta di perdono per quanto la sua Chiesa fece ai valdesi nei secoli: non è stata una richiesta rituale, come era parsa invece quella di Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000: e ovviamente, il fatto che sia stata pronunciata in un tempio valdese – e non in San Pietro – ha il suo peso».
L’altra questione problematica è quella dell’ospitalità eucaristica...
«È stato giusto sottolineare le problematicità; vorrei sottolineare tuttavia il riferimento espresso da Francesco ai doni che si sono scambiati cattolici e valdesi a Pinerolo in occasione della scorsa Pasqua, quando la chiesa cattolica locale ha offerto alla chiesa valdese il pane per la Santa Cena del culto pasquale e la chiesa valdese ha offerto alla cattolica il vino per la celebrazione della veglia pasquale la sera precedente: un gesto compiuto non dai vertici ecclesiastici ma dalla base di una chiesa locale. È importante e bello che un papa lo abbia menzionato».
Foto P.Romeo/Riforma
tratto da: www.riforma.it  lunedì 22 giugno 2015

lunedì 22 giugno 2015

Discorso di papa Francesco I in visita al tempio valdese di Torino

Discorso di papa Francesco I in visita al tempio valdese di Torino

il testo che segue è tratto dal sito: www.vatican.va

Torino
Corso Vittorio Emanuele II
Lunedì, 22 giugno 2015




Cari fratelli e sorelle,
con grande gioia mi trovo oggi tra voi. Vi saluto tutti con le parole dell’apostolo Paolo: «A voi, che siete di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo, noi auguriamo grazia e pace» (1 Ts 1,1 - Traduzione interconfessionale in lingua corrente). Saluto in particolare il Moderatore della Tavola Valdese, Reverendo Pastore Eugenio Bernardini, e il Pastore di questa comunità di Torino, Reverendo Paolo Ribet, ai quali va il mio sentito ringraziamento per l’invito che così gentilmente mi hanno fatto. La cordiale accoglienza che oggi mi riservate mi fa pensare agli incontri con gli amici della Chiesa Evangelica Valdese del Rio della Plata, di cui ho potuto apprezzare la spiritualità e la fede, e imparare tante cose buone.

Uno dei principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo e sono stati battezzati nel suo nome. Questo legame non è basato su criteri semplicemente umani, ma sulla radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio che si rivela a noi in Gesù Cristo e l’azione trasformante dello Spirito Santo che ci assiste nel cammino della vita. La riscoperta di tale fraternità ci consente di cogliere il profondo legame che già ci unisce, malgrado le nostre differenze. Si tratta di una comunione ancora in cammino - e l’unità si fa in cammino - una comunione che, con la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena e visibile comunione nella verità e nella carità.

L’unità che è frutto dello Spirito Santo non significa uniformità. I fratelli infatti sono accomunati da una stessa origine ma non sono identici tra di loro. Ciò è ben chiaro nel Nuovo Testamento, dove, pur essendo chiamati fratelli tutti coloro che condividevano la stessa fede in Gesù Cristo, si intuisce che non tutte le comunità cristiane, di cui essi erano parte, avevano lo stesso stile, né un’identica organizzazione interna. Addirittura, all’interno della stessa piccola comunità si potevano scorgere diversi carismi (cfr 1 Cor 12-14) e perfino nell’annuncio del Vangelo vi erano diversità e talora contrasti (cfr At 15,36-40). Purtroppo, è successo e continua ad accadere che i fratelli non accettino la loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro. Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri. È per iniziativa di Dio, il quale non si rassegna mai di fronte al peccato dell’uomo, che si aprono nuove strade per vivere la nostra fraternità, e a questo non possiamo sottrarci. Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono. Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!

Perciò siamo profondamente grati al Signore nel constatare che le relazioni tra cattolici e valdesi oggi sono sempre più fondate sul mutuo rispetto e sulla carità fraterna. Non sono poche le occasioni che hanno contribuito a rendere più saldi tali rapporti. Penso, solo per citare alcuni esempi – anche il reverendo Bernardini lo ha fatto – alla collaborazione per la pubblicazione in italiano di una traduzione interconfessionale della Bibbia, alle intese pastorali per la celebrazione del matrimonio e, più recentemente, alla redazione di un appello congiunto contro la violenza alle donne. Tra i molti contatti cordiali in diversi contesti locali, dove si condividono la preghiera e lo studio delle Scritture, vorrei ricordare lo scambio ecumenico di doni compiuto, in occasione della Pasqua, a Pinerolo, dalla Chiesa valdese di Pinerolo e dalla Diocesi. La Chiesa valdese ha offerto ai cattolici il vino per la celebrazione della Veglia di Pasqua e la Diocesi cattolica ha offerto ai fratelli valdesi il pane per la Santa Cena della Domenica di Pasqua. Si tratta di un gesto fra le due Chiese che va ben oltre la semplice cortesia e che fa pregustare, per certi versi – pregustare, per certi versi - quell’unità della mensa eucaristica alla quale aneliamo.

Incoraggiati da questi passi, siamo chiamati a continuare a camminare insieme. Un ambito nel quale si aprono ampie possibilità di collaborazione tra valdesi e cattolici è quello dell’evangelizzazione. Consapevoli che il Signore ci ha preceduti e sempre ci precede nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), andiamo insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi, che a volte sembrano così distratti e indifferenti, per trasmettere loro il cuore del Vangelo ossia «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 36). Un altro ambito in cui possiamo lavorare sempre di più uniti è quello del servizio all’umanità che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti. Grazie per quello che Lei ha detto sui migranti. Dall’opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi deriva l’esigenza di testimoniare il volto misericordioso di Dio che si prende cura di tutti e, in particolare, di chi si trova nel bisogno. La scelta dei poveri, degli ultimi, di coloro che la società esclude, ci avvicina al cuore stesso di Dio, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9), e, di conseguenza, ci avvicina di più gli uni agli altri. Le differenze su importanti questioni antropologiche ed etiche, che continuano ad esistere tra cattolici e valdesi, non ci impediscano di trovare forme di collaborazione in questi ed altri campi. Se camminiamo insieme, il Signore ci aiuta a vivere quella comunione che precede ogni contrasto.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, che vorrei ci confermasse in un nuovo modo di essere gli uni con gli altri: guardando prima di tutto la grandezza della nostra fede comune e della nostra vita in Cristo e nello Spirito Santo, e, soltanto dopo, le divergenze che ancora sussistono. Vi assicuro del mio ricordo nella preghiera e vi chiedo per favore di pregare per me: ne ho bisogno. Il Signore conceda a tutti noi la sua misericordia e la sua pace.



© Copyright - Libreria Editrice Vaticana
tratto da: www.vatican.va

Discorso del moderatore della Tavola Valdese pastore Eugenio Bernardini a papa Francesco I


Visita di papa Francesco alla Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) Torino, 
Tempio di corso Vittorio Emanuele II 23 
22 giugno 2015

DISCORSO A PAPA FRANCESCO 
DEL PASTORE EUGENIO BERNARDINI, MODERATORE DELLA TAVOLA VALDESE


Caro papa Francesco, caro fratello in Cristo,
mi permetta di accoglierLa in questo Tempio rivolgendomi a Lei con questa espressione dei primi credenti che seguirono Gesù diventando i suoi discepoli e i suoi apostoli. Rivolgendoci a Lei come il fratello in Cristo Francesco, noi riconosciamo la nostra comune condizione di figli di quel Dio che è “al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Efesini 4,6).
I valdesi del ramo italiano, da me rappresentati, e i metodisti – qui rappresentati dalla presidente Alessandra Trotta – e i rappresentanti delle chiese evangeliche sorelle luterane, battiste, avventiste, salutiste, La accolgono con gioia, avendo apprezzato molti discorsi e molti gesti che Lei ha compiuto sin dall’inizio del suo ministero.
Come Moderatore della Tavola valdese, voglio ringraziarLa in particolare per le parole di fraternità che Lei ha ripetutamente espresso nei confronti della nostra Chiesa.
***
Entrando in questo tempio, Lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa romana.
Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo.
Da oltre otto secoli, attraverso una storia a lungo segnata da varie forme di persecuzione e quindi scritta anche col sangue di molti martiri, non abbiamo voluto essere altro che una comunità di fede cristiana al servizio della parola di Dio e della libertà del suo annuncio.
Oggi, come nel Medioevo e nei secoli successivi, il nostro programma è: libere praedicare, «predicare nella libertà» l’Evangelo di Cristo. E’ questa l’unica ragion d’essere della Chiesa Valdese.
Questa libera predicazione dell’evangelo di Cristo avviene oggi in un’Italia largamente secolarizzata, ma almeno avviene in un contesto sempre più ecumenico
1grazie all’impegno e all’apertura spirituale di evangelici e cattolici, come questa Sua visita dimostra in modo eloquente.
A questo proposito, abbiamo letto nella Sua «Esortazione apostolica» Evangelii gaudium due affermazioni sul modo di intendere e vivere l’ecumenismo che siamo lieti di poter condividere.
La prima riguarda la visione dell’unità cristiana come «diversità riconciliata» che Lei propone (n. 230), e che è la stessa che l’ottava Assemblea mondiale della Federazione Luterana riunita a Curitiba (Brasile) proponeva nel 1990.
Crediamo anche noi che l’unità cristiana possa e debba essere concepita proprio così: come «diversità riconciliata», in cui occorre sottolineare sia la parola «diversità», sia l’esigenza che sia «riconciliata».
La seconda affermazione riguarda i rapporti tra le diverse chiese cristiane. Lei scrive: «Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (n. 246).
È molto bello questo pensiero di cercare nelle chiese diverse dalla nostra non i difetti e le mancanze – che indubbiamente ci sono – ma ciò che lo Spirito Santo vi ha seminato «come un dono anche per noi».
Proprio questo è l’ecumenismo: la fine dell’autosufficienza delle chiese; ogni chiesa ha bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione. Non possiamo essere cristiani da soli.
Ma proprio perché è così, riteniamo che i rapporti tra la Chiesa Valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) e la Chiesa cattolica romana, che già hanno prodotto buoni frutti in diversi ambiti – ricordo solo la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente (TILC), la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la collaborazione a livello di facoltà teologiche, il testo comune tra CEI e valdesi e metodisti sui matrimoni interconfessionali, la collaborazione alla stesura della Carta Ecumenica, fino al documento comune cattolici-evangelici-ortodossi per contrastare la violenza contro le donne che abbiamo sottoscritto insieme il 9 marzo scorso – ecco, questi buoni frutti possano essere ulteriormente migliorati e incrementati, nei modi che potremo cercare e stabilire insieme.
Dovremo affrontare, però, anche questioni teologiche tuttora aperte.
E poiché ci è data oggi questa bella occasione di incontro e di dialogo, vorrei proporne almeno due che ci stanno particolarmente a cuore.
La prima è questa: il concilio Vaticano II ha parlato delle chiese evangeliche come di «comunità ecclesiali». A essere sinceri, non abbiamo mai capito bene che cosa significhi questa espressione: una chiesa a metà? Una chiesa non chiesa? Conosciamo le ragioni che hanno spinto il Concilio a adottare quell’espressione, ma riteniamo che essa possa e debba essere superata. Sarebbe bello se questo accadesse nel 2017 (o anche prima!), quando ricorderemo i 500 anni della Riforma protestante. È nostra umile ma profonda convinzione che siamo chiesa: certo peccatrice, semper reformanda, pellegrina che, come l’apostolo Paolo, non ha ancora raggiunto la mèta (Filippesi 3,14), ma chiesa, chiesa di Gesù Cristo, da Lui convocata, giudicata e salvata, che vive della sua grazia e per la sua gloria.

La seconda questione, che sappiamo quanto sia delicata, è quella dell’ospitalità eucaristica. Tra le cose che abbiamo in comune ci sono il pane e il vino della Cena e le parole che Gesù ha pronunciato in quella occasione. Le interpretazioni di quelle parole sono diverse tra le chiese e all’interno di ciascuna di esse.
Ma ciò che unisce i cristiani raccolti intorno alla mensa di Gesù sono il pane e il vino che Egli ci offre e le Sue parole, non le nostre interpretazioni che non fanno parte dell’Evangelo.
Sarebbe bello se anche in vista del 2017 le nostre chiese affrontassero insieme questo tema.
***
In questa giornata, però, non possiamo dimenticare le sofferenze del mondo e le sfide che il mondo pone alle nostre chiese.
Anche su questo piano abbiamo in atto importanti collaborazioni che possono crescere ulteriormente.
Per esempio nel campo della libertà di religione e di coscienza.
Proprio per la nostra storia di minoranza “eretica” prima, “tollerata” poi, “ammessa” successivamente e finalmente “riconosciuta”, noi avvertiamo una forte responsabilità nei confronti di chi ancora oggi – in varie aree del mondo ma anche in Europa e in Italia – è discriminato o perseguitato a causa della sua fede, sia egli cristiano o di altre fedi – per noi non fa differenza – perché, affermando il valore della libertà della coscienza, riteniamo che chiunque debba essere libero e libera di credere secondo la sua ispirazione, così come debba essere libero e libera di non credere o di credere in forme non convenzionali.
Un altro campo sul quale i cristiani e le cristiane dovrebbero impegnarsi con più forza e unità è quello del dialogo interreligioso.
Oggi il mondo è attraversato da guerre che spesso si combattono “nel nome di Dio”. Questa pretesa blasfema di una religione ridotta a ideologia di violenza e di vendetta scuote la nostra coscienza e ci impone di perseguire con determinazione – come Lei tante volte ha fatto – un’altra strada: quella del dialogo tra uomini e donne che, confessando l’unico Dio, non possono condividere parole e gesti di offesa, oltraggio e violenza nei confronti di altri credenti e di altri essere umani, e che invece insieme riescono a tracciare e percorrere strade diverse, strade di pace.
Per noi cristiani – cattolici, protestanti, ortodossi – il richiamo a essere “operatori e operatrici di pace” non è un ornamento retorico della nostra fede ma il cuore della legge dell’amore e della riconciliazione voluta da Gesù Cristo.
E parlando di amore e riconciliazione, caro fratello in Cristo Francesco, sento di dover cogliere questa occasione per richiamare l’urgenza di proseguire e intensificare la testimonianza – talora comune ed ecumenicamente ispirata – a favore dei profughi che bussano alla nostra porta. 
La “fortezza Europa” li respinge rigettandoli nell’abisso di sofferenze, persecuzioni e dolore da cui fuggono; ma la legge che il Signore afferma ci impone di accogliere lo straniero, l’orfano e la vedova; e l’Evangelo che noi predichiamo dalle nostre chiese e dai nostri pulpiti ci invita ad aprire la porta della nostra casa, a dare da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete perché solo accogliendo chi soffre si può accogliere Cristo.
L’ecumenismo cresce anche nel servizio (diakonìa) e in una predicazione comune che scuota i cuori e le coscienze di chi pensa di risolvere il dramma sociale e umanitario che investe grandi regioni del mondo alzando altri muri, bombardando dei barconi o pattugliando il mediterraneo con mezzi militari.
***
E termino.
Chiudendo quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, Lei ha affermato: “L’unità dei cristiani non sarà il frutto di raffinate discussioni teoriche nelle quali ciascuno tenterà di convincere l’altro della fondatezza delle proprie opinioni. Verrà il Figlio dell'Uomo e ci troverà ancora nelle discussioni. Dobbiamo riconoscere che per giungere alla profondità del mistero di Dio abbiamo bisogno gli uni degli altri, di incontrarci e di confrontarci sotto la guida dello Spirito Santo, che armonizza le diversità e supera i conflitti”.
Condividiamo queste sue parole. Secoli di confronto e dibattito non hanno appianato, purtroppo, divergenze teologiche che in larga misura hanno resistito nel tempo. Eppure oggi siamo qui a riconoscerci come figli del Padre, fratelli in Cristo, gli uni e gli altri animati dalla forza dello Spirito santo.
Di fronte a noi c’è un mondo inquieto, sofferente, carico di tensioni; un mondo sovraccarico di parole mute, sterili, vane.
In questo mondo, noi cristiani siamo chiamati a dire la Parola della verità e della vita, una parola che non ritorna invano ma che cambia i cuori e le menti.
Annunciare questa Parola è la nostra fatica e la nostra gioia di sorelle e fratelli in Cristo.
Ed è il nostro vero mandato ecumenico, caro fratello Francesco: quello che ci chiama all’unità anche e soprattutto nell’annuncio della Parola “perché il mondo creda” (Giovanni 17,21).
Caro papa Francesco, grazie per essere tra noi e con noi. Dio illumini e benedica il Suo servizio.

Torino, 22 giugno 2015


tratto da:  www.riforma.it

Saluto del moderador Oscar Oudri a papa Francesco I


Visita di papa Francesco alla Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) 
Torino, Tempio di corso Vittorio Emanuele II 23 
22 giugno 2015

SALUTO A PAPA FRANCESCO DI OSCAR OUDRI, 
MODERADOR DE LA IGLESIA VALDENSE DEL RIO DE LA PLATA

In primo luogo vogliamo salutare il fratello Francesco, rappresentante della Chiesa Apostolica Romana, il cui nome richiama alla memoria l’ispirazione evangelica di cui si sono nutriti i valdesi e il movimento francescano. Salutiamo anche i fratelli e le sorelle presenti in questa occasione.
Ringraziamo Dio perché, attraverso l’azione dello Spirito Santo, possiamo condividere questo momento in cui testimoniamo l’unico Signore.
La Chiesa Valdese ha la particolarità di essere una sola Chiesa in due aree geografiche: l’Italia e il Rio de La Plata. È a nome di quest’ultima che oggi sono qui, per salutare questo avvenimento storico che senza dubbio rappresenta una tappa fondamentale nelle relazioni ecumeniche.
Ringraziamo Dio perché è passato il tempo delle persecuzioni che ha portato dolore e morte alle nostre comunità. Oggi il dolore e la morte continuano ad essere presenti nelle nostre società. Crediamo che, come discepoli di Cristo, dobbiamo unire gli sforzi per contribuire a modificare questa realtà, contraria alla volontà di Dio.
Nel Rìo de La Plata negli ultimi decenni abbiamo fatto molte cose insieme: per la difesa dei minori, dei giovani e degli anziani, dei popoli originari, delle donne, alla ricerca delle persone scomparse, contro la dittatura e per la difesa dell’integrità del Creato; lottando fianco a fianco, imparando dal prossimo, al di là del proprio credo, per migliorare le condizioni di vita dei nostri popoli. E tutto questo ci ha rafforzato.
Ci auguriamo che questo cammino ecumenico che abbiamo scelto sia libero dalla tentazione del proselitismo, che può offuscare il cuore della nostra testimonianza.
Chiediamo a Dio che ci aiuti in questo cammino di riconciliazione per realizzare il mandato dell’Evangelo di Giovanni: “...siano uno affinché il mondo creda”.
Fratello Francesco, sarebbe una grande gioia e una benedizione per la nostra regione del Rio de La Plata poter realizzare un evento simile a questo in una delle nostre chiese riformate. Si consideri invitato fin da ora, per pregare insieme e, se possibile... bere un mate.
(traduzione dallo spagnolo)



tratto da: www.riforma.it

Saluto del pastore valdese Paolo Ribet a papa Francesco I

La visita di papa Francesco I al tempio valdese di Torino


Visita di papa Francesco alla Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) 
Torino, Tempio di corso Vittorio Emanuele II 23 
22 giugno 2015

SALUTO A PAPA FRANCESCO DEL PASTORE PAOLO RIBET



Da quando abbiamo saputo di questa visita, mi sono più volte interrogato su quale sarebbe stato il modo corretto di rivolgermi a lei e alla fine ho trovato la risposta nella parola che il Signore Gesù Cristo ci ha insegnato per designare i suoi discepoli – e la parola è: “fratello”.
E allora ... Caro fratello Francesco, siamo rimasti lietamente sorpresi quando abbiamo saputo che questo incontro si sarebbe tenuto qui a Torino, nel nostro tempio. Ma è probabilmente giusto così. Infatti, la Chiesa di Torino è la prima nata dopo la concessione dei diritti civili nel 1848, al di fuori da quel ghetto alpino in cui i Valdesi erano stati costretti per secoli. Il tempio nel quale ci troviamo è stato costruito nel 1853 e non a caso è nel centro della città, in quanto vuole esprimere la forte volontà di presenza di questa comunità nel tessuto della comunità civile.
La Chiesa di Torino fin dal suo sorgere racchiude in sé tre anime:
l’anima protestante tradizionale, tipica delle secolari comunità delle Valli valdesi che improntava i fedeli che scendevano alla città in cerca di un futuro e di un lavoro. Non solo in Italia: il canto sudamericano intonato dal coro e ispirato al testo biblico di Ecclesiaste testimonia la presenza valdese al di là dell’atlantico, in Argentina e Uruguay.
incarna anche l’anima risorgimentale e “risvegliata, tipica del protestantesimo degli italiani fuoriusciti politici dei vari Stati della penisola che nel tempo del Risorgimento avevano trovato rifugio in Piemonte e accoglienza nella Chiesa valdese, tesa al rinnovamento dell’individuo e della società con una forte spinta verso l’evangelizzazione.
Vi è infine l’anima “diaconale” che si esprime nel servizio sociale rivolto alle parti più fragili della popolazione. L’esempio più noto a Torino di questo impegno era l’Ospedale Valdese che, con nostro profondo dolore, dopo pochi anni dalla cessione alla Regione, è stato chiuso. Oggi questa nostra azione di servizio si concreta principalmente nell’aiuto ai poveri e ai rifugiati.
Come dicevo, questo grande tempio fu costruito per segnare una presenza significativa nella città, con la volontà di predicare l’Evangelo. Non si trattava però di predicare un “altro” evangelo, perché, come scrive l’apostolo Paolo, non esiste un “altro” evangelo; ma di predicare con la consapevolezza di vivere l’Evangelo di Gesù Cristo in un modo “altro” rispetto alla maggioranza degli italiani.
Questa consapevolezza, che 150 anni fa portava allo scontro fra le Chiese, oggi vuole essere la base su cui costruire ogni discorso ecumenico nel pienoriconoscimento e nel rispetto reciproco, secondo la prospettiva dell’ “unità nella diversità”. Nel momento in cui siamo chiamati alla fede, siamo anche esortati a metterci in cammino verso il Cristo, che è e rimane al di fuori e al di sopra di noi. In questo percorso di persone e di chiese incontriamo fratelli e sorelle che condividono con noi il cammino. Oggi con gioia incontriamo lei, Papa Francesco, come un nuovo fratello nel nostro percorso, e vogliamo leggere la sua visita (che è stata definita giustamente “storica”) proprio in questa dimensione.
Viviamo un’esperienza incoraggiante e, spero, anticipatrice di ulteriori esperienze ecumeniche anche a Torino – dove peraltro non mancano momenti di comunione come la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani e il Comitato Interfedi.
Termino con un auspicio: prima ricordavo la volontà dei padri che hanno costruito nell’ottocento questo tempio di vivere l’evangelo in modo “altro”. Spesso l’accento è stato messo sull’aggettivo “altro”, sulla diversità. Ma oggi vorrei mettere l’accento sul verbo “vivere”. L’evangelo non è una dottrina ma è una persona: la persona Gesù Cristo. È un atto di grazia che il Signore ci ha fatto e che noi siamo chiamati a testimoniare con le parole e con la vita nel contesto della città in cui siamo posti. Se il profeta Geremia poteva scrivere ai suoi compatrioti esiliati in Babilonia di pregare per il bene della città, noi siamo esortati dalla Parola di Dio e dall’esempio di chi ci ha preceduto sulle vie della fede ad agire per il bene della città – e a farlo in una sinfonia di voci che si rafforzano e si completano a vicenda.

Torino, 22 giugno 2015


tratto da: www.riforma.it

domenica 21 giugno 2015

Ecumenismo: parliamoci


Che cosa diremo al Papa


di Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese


La prima visita di un papa, in oltre ottocento anni, alla Chiesa valdese è un fatto che, per quanto abusato, merita l’aggettivo “storico”. Il fatto che questa visita avvenga nella cornice del tempio di Torino – il primo che i valdesi poterono costruire (nel 1853) nella capitale del Regno che aspirava unire l’Italia intera, e dunque fuori dal “ghetto” delle valli del Pinerolese in cui erano stati costretti a rifugiarsi – suggerisce anche l’aggettivo “significativo”. Varcando quella soglia, papa Francesco tende la mano a una comunità di “eretici” che hanno pagato un duro prezzo alla coerenza della loro fede. In questo senso crediamo che questo gesto assuma un “significato” più generale, non soltanto per i valdesi e gli altri evangelici.
Dopo quella ebraica, quella valdese è la comunità di fede di minoranza di più antico radicamento in Italia; negli anni delle crociate e della Controriforma ha subito persecuzioni che l’hanno costretta a un temporaneo esilio; negli anni in cui si costruiva l’Italia unita è stata la prima confessione non cattolica a ottenere i diritti civili per i suoi membri. Negli anni della Resistenza, molti valdesi salirono sulle loro montagne per difendere non solo la loro libertà, ma quella di tutti gli italiani e di tutte le italiane; così come nel dopoguerra furono in prima fila a rivendicare il pieno diritto alla libertà religiosa e alla laicità dello Stato tutelata dalla Costituzione repubblicana. In tempi più recenti, la Chiesa valdese si è trovata unita ad affermare, anche in controtendenza e talora in contrasto con la Chiesa cattolica, principi di libertà di coscienza e diritti civili negletti o trascurati, sino alla stipula della prima Intesa con lo Stato nel 1984. Questa storia Papa Francesco la conosce bene, e per questo riteniamo che la sua visita abbia un significato che trascende l’omaggio a una Chiesa evangelica: è l’incontro con una componente spirituale e culturale della società italiana che, per quanto piccola, ha cercato di contribuire alla crescita morale e civile del Paese.
Entrando in una chiesa valdese, papa Francesco mostra di riconoscere quel pluralismo delle religioni e delle culture che altri – che spesso cattolici non sono o lo sono soltanto nelle “feste comandate” – avversano nel nome di presunti valori tradizionali. E lo fa nel suo linguaggio, quello di un pastore e di un credente che tende la mano ai suoi fratelli e alle sue sorelle nella fede. Questo è quello che la visita di papa Francesco dice a noi valdesi ma crediamo anche a tutti gli italiani: a chi crede, a chi non crede e a chi crede in termini non convenzionali.
Quanto a noi, lo accoglieremo come un fratello in fede, con la sobrietà che ci contraddistingue ma anche con il calore di chi apprezza le parole e i gesti di un papa che ha detto e fatto cose importanti nel rapporto con le altre religioni, che mostra di saper ascoltare anche gli ultimi, che ci ha appena consegnato un testo di grande intensità sull’etica verso il creato e le risorse che esso contiene. Gli diremo ciò che già ci unisce e gli ricorderemo quello che ancora ci divide. Ma intanto, insieme, avremo fatto un passo in avanti sulla strada dell’ecumenismo.

Tratto da www.lastampa.it del 21 giugno 2015

E come Ecumenismo

I valdesi incontrano il papa. Bernardini: «saremo noi stessi»

Grande attesa per l'incontro di lunedì 22 a Torino
Matteo DE FAZIO  Redattore di Radio Beckwith Evangelica

Lunedì 22 giugno per la prima volta un papa varcherà la sglia di un tempio valdese, per incontrare la Tavola Valdese e i rappresentanti di altre realtà evangeliche. L'incontro avverrà al tempio valdese di Torino, in corso Vittorio Emanuele II e sarà trasmesso in diretta su Raiuno, dalle 8,55; la sera stessa su Raidue la trasmissione "Protestantesimo" manderà in onda uno speciale sulla visita. «Lunedì noi non avremo timore di riconoscere tutto ciò che ci lega in quanto cristiani, discepoli di Gesù Cristo e discepoli del medesimo Dio – ha detto il moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini – ma non avremo timore di richiamare quegli aspetti teologici e religiosi che ancora segnano le nostre distanze sulle quali noi vorremmo lavorare per fare maggiori progressi: questo è l’ecumenismo».
Come arrivano la Tavola e le chiese a questo incontro?
«Come ci aspettavamo, sereni e tranquilli. Naturalmente c’è qualche preoccupazione per come l’evento verrà compreso e gestito mediaticamente, anche perché ci sarà la diretta di Raiuno, che consentirà a moltissime persone di poter vedere ciò che accade. Come di fronte a qualsiasi cosa, piccola o grande, e come qualsiasi comunità, abbiamo aspettative e opinioni diverse. Dal nostro punto di vista è un evento coerente con il cammino ecumenico che come metodisti e valdesi abbiamo intrapreso in modo convinto da molto tempo: ci sono varie dichiarazioni sinodali che affermano che il cammino ecumenico è per noi una scelta definitiva e non potremmo mai più comprenderci come chiesa di Gesù Cristo al di fuori di una visione di scambio, collaborazione e comunione con altre chiese, prima di tutto in campo protestante e poi con la più ampia ecumene cristiana».
Sarà un incontro tra grandi diversità?
«Intanto si tratta di entità incommensurabili per dimensioni e impatto: noi siamo un puntino sul pianeta, forse un mezzo puntino, la Chiesa Cattolica Romana è una realtà molto grande. Le differenze che hanno portato fino qui e il fatto che ognuno faccia le proprie scelte in modo autonomo e diverso, in alcuni caso anche divergente, non sono venute improvvisamente a mancare: ma un po’ tutti comprendiamo che le cose che ci uniscono sono moltissime. Sottolineare le diversità per affermare la propria identità è umano, ma dobbiamo prendere atto che esiste anche una comunione profonda in moltissime cose fondamentali. Lunedì noi non avremo timore di riconoscere tutto ciò che ci lega in quanto cristiani, discepoli di Gesù Cristo e discepoli del medesimo Dio, ma non avremo timore di richiamare quegli aspetti teologici e religiosi che ancora segnano le nostre distanze sulle quali noi vorremmo lavorare per fare maggiori progressi: questo è l’ecumenismo. Schiettezza e sincerità ma in un clima di ascolto reciproco e fraternità, non di contrapposizione e polemica. Questa è la grande differenza rispetto a un passato che non vorremmo riprendere in questi tempi».
Sono state espresse preoccupazioni su come sarà percepita all'esterno l’identità valdese: qual è la vostra strategia per raccontarlo al meglio?
«La strategia è quella di essere noi stessi. Saremo noi stessi perché avremo gli abiti che utilizziamo per i nostri incontri, e non quelli per il culto; saremo noi stessi perché diremo insieme il Padre Nostro e canteremo gli inni delle nostre chiese; saremo noi stessi perché parleremo con il linguaggio di sempre. Speriamo che questo possa essere compreso perché il gioco della comunicazione mediatica attraverso la televisione può raccontare in modo molto veritiero la realtà, ma dall’altra conosciamo i rischi di semplificazione e fraintendimento che ci possono essere. In Italia i giornalisti che si occupano di informazione religiosa vengono definiti vaticanisti, ma non c’è solo il vaticano e se ne sono resi conto anche loro, anche se spesso non hanno gli strumenti per leggere correttamente le realtà diverse da quella cattolica. Quando abbiamo pensato all’evento e abbiamo ricercato la possibilità di avere una diretta televisiva sapevamo che questo poteva essere un rischio: la nostra strategia è di autenticità, vedremo come sarà recepita».
Il patto di integrazione tra le chiese metodiste e valdesi di 40 anni fa ha dimostrato che si può essere uniti nella diversità: c'è un interesse a immaginare un percorso simile con il mondo cattolico?
«Non è nel nostro orizzonte ecclesiastico e penso neppure umano: può essere nell’orizzonte dello Spirito, a cui nessuno può porre dei limiti. In questo incontro rappresenteremo, anche simbolicamente, l’unione delle diversità che già sono interne alla nostra chiesa. Oltre a me, in rappresentanza delle chiese valdesi italiane, ci sarà il moderador delle chiese valdesi del Rio della Plata, ci sarà la presidente del Comitato permanente metodista, e saranno presenti i rappresentanti delle chiese evangeliche in Italia con cui noi abbiamo già un patto profondo di collaborazione nell’ambito della Federazione delle chiese Evangeliche in Italia. Ci vogliamo rappresentare, anche in questa diversità, in comunione. Con la chiesa cattolica il cammino da fare è ancora molto lungo, ma se si pensa a cosa si è realizzato dagli anni 60, il cambiamento nella relazione tra le chiese è stato epocale: l’apertura di questo papa ha sicuramente contribuito in questo percorso».
tratto da: www.riforma.it

sabato 20 giugno 2015

Culto Evangelico


Domenica 21 giugno 2015
Quarta dopo Pentecoste
questa Domenica il Culto alle ore 11.00
per la sede dello svolgimento del Culto Evangelico
contattare i membri del Consiglio di Chiesa:

Giandomenico Natale
giandonatale@gmail.com




Palaia Jeanine 
jeanfrapal@bluewin.ch


Peyrot Sieve Mirella 
mirpey@bluewin.ch




Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Evangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 6,11

Dacci oggi il nostro pane quotidiano e tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere.
Ma poiché spesso abbiamo abbastanza per vivere, dacci il nostro cuore quotidiano
per farne parte a quelli e quelle che ne hanno bisogno.

                                                                                                      Norbert Copray
,  
citato da: Un Giorno Una Parola 2015 Letture bibliche quotidiane, Claudiana, Torino, 2014,  p.155



mercoledì 17 giugno 2015

La visita di papa Francesco I a Torino Valdese: siamo ancora riformati? dibattito (3)



la pastora valdese Maria BONAFEDE, già Moderatora della Tavola Valdese
Maria BONAFEDE
Non condivido molte delle cose che Mauro Belcastro e Simone Maghenzani scrivono chiedendosi se siamo ancora protestanti, ma sono contenta che lo abbiano fatto perché nella loro lettera c’è del vero, e ce n’è tanto.
Non mi pare che il Moderatore sia stato decisionista, né mi pare che i pastori di Torino l’abbiano fatta da padroni: se inviti il Papa e se lui accetta ti ritrovi nel protocollo delle visite dei capi di Stato che comportano obblighi, accorgimenti, sicurezza, controlli, lavoro, tanto lavoro, elenchi, telefonate come tutto il lavoro che ho visto svolgere in queste settimane negli uffici della chiesa valdese di Torino dalla commissione costituitaad hoc, dal presidente del Concistoro, da tanti laici qualificati e volonterosi che ce l’hanno messa tutta per far girare la macchina. E il Concistoro, non solo i pastori, la pastora e il diacono, ha lavorato, ha discusso sul come e che cosa fare e su cosa dire. Certo, ci si può sempre chiedere: ma perché invitarlo? Anche se è un credente simpatico e la sua fede sembra di qualità, è pur sempre un papa! Io credo invece che questa opportunità andasse colta per parlarsi e ascoltarsi tra cristiani in un’epoca in cui è così di nuovo difficile dialogare, per riformulare la volontà di un dialogo che sappia parlare anche della reciproca diversità, per approfondire il senso dell’ecumenismo.
Non so se i valdesi usciranno, da questa visita del pontefice romano, più forti o più deboli. Credo anzi che rimarranno quello che sono: una chiesa piccola, piccola, che fatica a orientarsi e a vedere un futuro, che ha slanci importanti di intelligenza e di misericordia ma che è anche piena di persone che non sanno più in che cosa consiste il loro essere protestanti. Quindi chiedersi, come fanno Mauro e Simone, se e come siamo protestanti ha senso.
In questi mesi mi è capitato di fare funerali e di visitare, a quello scopo, famiglie che non avevano più alcun legame con la chiesa valdese. Mi ha colpito che erano tutti nomi valdesi veri, con la consonante in fondo. I figli e le figlie rigorosamente cattolici romani, addirittura fatti battezzare da bambini, da genitori che erano venuti a lavorare a Torino scendendo dalle Valli e che temevano la discriminazione, nipoti che non sanno più niente della fede dei nonni e dei bisnonni. Mi si stringe il cuore e mi fa male ogni volta che vedo risucchiare nell’indifferenziato storie, pensieri, fede e preghiere che hanno costituito l’anima e il nerbo dell’esistenza di molta parte della nostra chiesa.
Mauro e Simone si e ci interrogano proprio su questo, sulla fede, sulla nostra identità e colgono l’occasione per proporre spunti di riflessione, temi di lavoro per i prossimi anni, spazi di ragionamenti importanti all’interno delle nostre chiese. Pongono il problema così protestante del ruolo di un esecutivo, se il moderatore deve essere un leader di prestigio, vescovo della sua chiesa, o sostanzialmente un esecutore della volontà del Sinodo. Me lo sono chiesta tante volte, a suo tempo e se ne è discusso anche in Sinodo. Il tener desta l’attenzione sul tema è importante. E sollevano il tema della «visibilità mondana», tutte cose a cui capita di pensare in queste settimane, anche se la nostra visibilità è seria, sobria, mai fuor dalle righe e se non mi pare che si corra il rischio della mondanità nel senso teologico del termine.
Ma che si debba affermare che esiste un altro modo di essere cristiani e che la chiesa valdese, pur nella sua piccolezza, è altra rispetto a quella cattolico romana, questo sì che è importante e Mauro e Simone lo dicono chiaro. Il cattolicesimo è pieno di credenti seri e anche coraggiosi e credo che Francesco si allinei tra questi, e con loro vogliamo dialogare, pregare, operare per la pace e per la misericordia, ma siamo in debito con loro, con tutti loro, papa compreso, della predicazione di un Evangelo senza reliquie, di una testimonianza che sappia dire, con garbo e senza sicumera, la verità sulla storia recente come recente è la storia di chi, come don Bosco, faceva comprare, con l’astuzia di chi si mostrava interessato, i libri dei valdesi e dei catari per poi ammucchiarli in piazza e dar loro fuoco. Bisogna raccontarla la storia, senza protervia che non ci si addice, ma bisogna farlo per amore della verità e per amore del dialogo. E poi ripassiamo la nostra fede, ripassiamo il fatto che l’unico mediatore tra le persone che credono e Dio è il Signore Gesù Cristo, che altre presenze siano figure celesti, icone, o gerarchie non solo non servono ma deviano dalla retta fede. E quindi ben vengano incontri ed eventi, seminari e dialoghi per riscoprire tutti l’abc della fede evangelica e l’abc della nostra dogmatica. Ma non facciamolo solo se e quando viene il papa: facciamolo nelle nostre chiese, nelle nostre famiglie, nei luoghi del dialogo e dell’ecumenismo, a tempo e fuor di tempo.
Foto P.Romeo/Riforma
tratto da: www.riforma.it

martedì 16 giugno 2015

La visita di papa Francesco I a Torino Valdese: dibattito (2)


Visita del papa: non stiamo in ansia

Alberto Corsani


Bibbia e teologia, ma anche il Sinodo, sono le nostre garanzie
L’ormai imminente visita del Papa al tempio valdese di Torino sta suscitando, oltre che la prevedibile curiosità, anche qualche apprensione, che ritengo eccessiva. Un evento ecumenico, per piccola o grande che sia la sua portata, può suscitare simpatia o avversione, ma dovrebbe essere chiaro che non è in queste iniziative che si gioca il futuro della Chiesa o che si determina il suo stare o non stare nella fede. Non è, insomma, uno status confessionis. Un incontro, sia che porti alla luce delle convergenze inaspettate in materia teologica o ecclesiologica sia che faccia registrare invece dei passi indietro nel dialogo e nel rispetto e accoglienza reciproca, non agisce cui cardini della fede.
Il nostro essere nel mondo è certo sfidato anche dall’impatto mediatico, il quale, di fronte a un evento come quello che si annuncia sarà ovviamente forte. Da tempo le chiese evangeliche e in particolare la Chiesa valdese sono esposte alla visibilità mediatica – ma anche all’invisibilità: per anni la Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha dovuto subire penalizzazioni nella messa in onda di Protestantesimo, confinata in orari da pipistrello; benché ci fossero ampie motivazioni per rinunciare a una messa in onda tanto disagevole, i vari Consigli della Fcei e i vari suoi presidenti non hanno mai mollato, e hanno scelto di mantenere nei palinsesti Rai una finestra da cui rivolgersi a cittadini e cittadine che trovano interessante dialogare con la realtà protestante in Italia; hanno fatto bene.
La stessa esposizione la viviamo nel rapporto con gli italiani e le italiane che firmano per l’otto per mille della Chiesa valdese. Un’altra occasione sarà rappresentata dal 2017 e dall’anniversario della Riforma. Ormai sulla piazza ci siamo; sotto i riflettori anche: si può essere d’accordo o meno, ma ci siamo. Possiamo presentarci a queste occasioni tenendo presenti tre fattori.
Il primo è la capacità che le chiese (non solo valdesi, ma almeno bmv, anzi federate nella Fcei) hanno di darsi degli strumenti: una capacità che consiste nel ragionare di Bibbia e di teologia, in primo luogo (un esempio viene dalle 95 tesi elaborate dal Circolo Riforma di Milano e fatte proprie dalla locale chiesa valdese: due anni a discutere di teologia, una ricchezza che altri non hanno), e poi nel ragionare di storia, nel riflettere, con queste basi, sulla propria identità. Questo patrimonio costituisce, in un certo senso, l’armatura di cui parla la lettera agli Efesini, e permetterà di vivere senza ansia le sfide ecumeniche, mediatiche o semplicemente «mondane» genericamente intese.
Qualcuno vede dell’autoritarismo nelle scelte fatte: le nostre chiese sono tuttavia dotate di strumenti istituzionali e di una ecclesiologia che permettono di passare al vaglio ogni decisione presa. Non tutti possono vantare una tale complessa ma rigorosa strutturazione: usiamo gli strumenti che abbiamo, fino al Sinodo – questa è la seconda risorsa che individuo.
Infine: lo studio e la riflessione critica sono tipici della grande tradizione protestante a cui non rinuncerei mai, ma essi sono pur sempre strumenti «umani»; la terza e ultima risorsa è dunque quella dello Spirito, che agisce con logiche che non sempre riusciamo a capire, e che dovrebbe sostenerci in una visione meno cupa delle sfide che attendono le nostre chiese.
tratto da: www.riforma.it

La visita di papa Francesco I a Torino Valdese: dibattito


Siamo ancora riformati?

Mauro Belcastro e Simone Maghenzani

La visita del papa del prossimo 22 giugno a Torino può essere un’occasione per mostrare un modo diverso di essere cristiani

È da diverse settimane che stiamo ripensando alla notizia della visita di papa Francesco alla nostra chiesa valdese di Torino. Forse, a differenza di molti, non siamo riusciti ad accoglierla a cuor leggero. In questa vicenda quello che ci stupisce non è la visita in sé: è anzi bello quando il potere, seppure con un volto cordiale, si china e ricorda una minoranza altrimenti pressoché ignorata. Quello che c’inquieta è il modo in cui la nostra Chiesa - già diffusamente considerata setta - verrà percepita all’esterno a seguito della visita, nonché il modo in cui noi, a partire dalla gestione di questa vicenda, comprendiamo noi stessi come Chiesa. Ci ha stupito il ruolo decisionista della Tavola (il momento clou consisterà in un discorso finale tra il papa e il moderatore) e il peso preponderante dei pastori nella gestione della visita. Sappiamo già quale sarà il ritorno mediatico di un evento impostato in questa maniera: se andrà bene, la giornata risulterà come un “incontro tra due leader ecclesiastici che vogliono parlarsi”. E in effetti Paolo Griseri su La Repubblica del 25 maggio scorso scrive dell’ «iniziativa ecumenica più clamorosa – l’incontro tra il pontefice e i vertici della Chiesa valdese».
Ora, a prescindere dalla decisione in sé – che pure non abbiamo condiviso e che non ci sentiamo di condividere – vorremmo sottolineare quanto questa si stia dimostrando una occasione sprecata. L’immagine della Chiesa valdese non uscirà più forte o socialmente legittimata, cosa che in ogni caso non ci pare sia tra i compiti affidatici, ma di certo più clericale e leaderista di quanto la sua vocazione preveda. Purtroppo, temiamo che questa immagine corrisponda a una torsione in corso: al nostro interno, dove anziché come esecutivi, ci si autopercepisce come leader ecclesiali; ma pure all’esterno, dove non sarà possibile notare una poi così grande differenza tra noi e altri nel modo di essere chiesa e di vivere la vita cristiana.
Crediamo che questa visita pontificia alla chiesa di Torino, tra don Bosco e la Sindone, sia la cartina di tornasole della fragilità della nostra proposta teologica e culturale, e che ci costringa a domandarci se e in che misura siamo ancora riformati. Lo abbiamo detto e scritto in privato, sui social media, e ai nostri responsabili ecclesiastici: sentiamo come urgenza che il nostro protestantesimo tenti di vivere e annunciare con vocazione coerente un messaggio che non è suo, senza per questo inseguire una visibilità tutta mondana che nulla ha a che vedere con la nostra chiamata cristiana. Questo papa – con cui dobbiamo coltivare un rispettoso e civile dibattito – può darci l’occasione di parlare pubblicamente di teologia, di Bibbia, di fede. Questa visita può e deve essere una strada per discutere con i cattolici: di storia, di Scrittura, di dogmi e di missione. Ma anche per dire con chiarezza e fermezza che ci sono molte cose nella prassi e nella fede cattolico-romana che per noi contraddicono il messaggio evangelico.
Gli importanti eventi che vedono coinvolti i cattolico-romani e, in un certo senso, Torino tutta intera, avrebbero potuto essere l’occasione per ribadire che c’è un modo differente di essere cristiani. E questo potremmo ancora farlo, come sempre fu fatto nelle precedenti occasioni, organizzando degli incontri/eventi aperti a tutta la città in cui si possa discutere 1) della fede (perché noi non ci curiamo delle reliquie vere o false che siano? che cosa caratterizza la vita di fede di un cristiano evangelico?); 2) dell’evangelo e del lavoro; 3) dell’evangelo e dei migranti; 4) dell’evangelo e delle donne; 5) dell’evangelo e degli uomini… Insomma, del nostro modo d’intendere il mondo in base all’evangelo. Crediamo che questo sia un buon modo di accogliere tutti i cattolici che verranno a Torino e, soprattutto, un’occasione per rifare il punto insieme sul nostro essere chiesa evangelica. C’è ancora tempo.
tratto da: www.riforma.it